sabato 13 agosto 2011

"מַכַּת בְּכוֹרוֹת ~ Makat b'chorot" [racconto]


Non sono arrivato nella top 5 di Nero Angeli, putroppo. Questo concorso però è stato una manna dal cielo: mi ha permesso di confrontarmi e mettermi in gioco come mai avevo fatto prima. E, soprattutto, mi ha dimostrato che se sono arrivato in finale così schifo poi non faccio.
Questo è il racconto che avevo proposto, un "retroscena" biblico con un antagonista piuttosto interessante.

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EDIT 24/11/2011

Per la serie "chi non muore si rivede", eccomi qui a togliere il link al racconto. La ragione è che... MI PUBBLICANO!!!
Sì, proprio così: la giuria del concorso Nero Angeli ha ritenuto tutti e 13 i finalisti validi al punto da concedere la possibilità a tuttii di trovare spazio nell'antologia in cui verranno raccolti. Inutile dire la soddisfazione che provo.

Per il resto, ho evidentemente trascurato il blog. Il motivo è che ultimamente ho molto meno tempo da dedicare alla lettura e alla scrittura, ma ciò non significa assolutamente che le abbia abbandonate (non lo farò MAI), né che voglia abbandonare l'idea di un blog. E' probabile che in un futuro più o meno prossimo faccia un totale revamp del blog, quasi sicuramente cambiando anche il nome e allargando lo spettro dei contenuti: non più quindi solo letteratura e scrittura, ma qualcosa di più variegato.
Ci penserò.

venerdì 15 luglio 2011

Game of Thrones: stagione uno [Recensione]


Lo so, ho detto fin dall'inizio che avrei trattato solo di letteratura e narrativa in questo blog, e ora eccomi qui a recensire una serie tv. Se faccio un'eccezione è perché si tratta dell'anticipatissima versione per il piccolo schermo di A Song of Ice and Fire di George R. R. Martin.
L'ambiziosissimo piano che la HBO si è riproposta è di adattare ogni libro della saga in una stagione. Il progetto, considerato che raramente la HBO va oltre la quinta stagione di un telefilm e che il budget in gioco pare essere stato spropositato, suona quanto mai azzardato. Ma almeno una prima stagione c'è stata, e ce la siamo goduta.

Ora, prima di iniziare a parlare seriamente, vorrei dire un paio di cose:
1) a chi ritiene la saga di Martin un capolavoro di profondità e di ricchezza di tematiche narrative, e non vuole sentire ragioni perché A Song of Ice and Fire è la serie più adultissimissima e più letteraria di sempre;
2) a chi si indigna se le trasposizioni da libro a schermo non sono minuziosamente fedeli in ogni singolo dettaglio;
...bene, ho un messaggio per voi: AVETE ROTTO LE PALLE.
Parliamoci chiaro. A Song of Ice and Fire è intrattenimento puro. Potete cercare tutti i significati reconditi che volete, tutte le simbologie di questo mondo, ma resta il fatto che la serie è fantasy puro e semplice e va presa per quello che è.
Questo significa che sia un prodotto scadente? Assolutamente no. Ce ne fossero di più di saghe fatte così bene! Quello che secondo me riesce davvero bene a Martin è la costruzione di una trama di ampio respiro, che coinvolge un cast enorme di personaggi perfettamente caratterizzati. Non brillano certo per originalità, al contrario di quanto i fanboy possono affermare: abbiamo la regina bella ma stronza, il re ridanciano e rubicondo, il lord onesto che non si farebbe corrompere pena la vita, la principessa iperfiga con gli occhi viola e via dicendo. Se i personaggi risultano inquadrati tutti in un certo ruolo fisso, non possiamo di certo dire che non siano presentati con grande maestria.

La prima stagione di Game of Thrones, che adatta l'omonimo primo libro, è magistrale nel riprodurne lo spirito. Ma se per ovvie ragioni di tempo e di spazio l'ampiezza della trama è in un certo qual modo sacrificata, ne guadagnamo in uno spettacolo visivo di altissima qualità, e in personaggi resi più umani e sfaccettati di quelli a cui Martin ci aveva abituato. Non sempre le psicologie vengono riprodotte tali e quali sono sulla carta (e qui i puristi hanno avuto di che indignarsi!), ma a parer mio questo non è stato altro che un bene: abbiamo una Catelyn più materna e determinata, un Robb con molto più spazio, un Viserys totalmente pazzo e megalomane, ma il personaggio che forse ha guadagnato di più è Daenerys, a cui l'ottima Emilia Clarke ha dato una vena di vulnerabilità e di normalità che mancavano alla sua versione cartacea. Qualche riserva per Lena Headey, una Cersei molto meno avvelenata e focosa che gioca più sui toni sommessi e sull'essere subdola.
Eccellente anche il cast secondario (tra tutti Mia Soteriou/Mirri Maz Duur e Natalia Tena/Osha), e anche i membri più giovani: non ho mai amato gli attori bambini, ma qui sono tutti bravi e Maisie Williams (Arya Stark) è semplicemente favolosa.

Praticamente nulli i cambiamenti riguardanti la trama. Ammetto di non ricordare perfettamente quella del libro, ma ora come ora posso dire con sicurezza che l'unica modifica davvero significativa sia stata l'eliminazione delle parti ambientate a Riverrun e i relativi personaggi. Poco male: avendo visto la serie a distanza di anni dalla lettura del libro non me ne sono nemmeno accorto, ed è stato un bene affrontare la visione senza dei continui termini di paragone con lo scritto.

Vogliamo parlare dei difetti? Perché un po' ce ne sono stati, anche se si fanno perdonare largamente. Primo: l'abbondanza di spiegoni nei primi quattro episodi, che per carità, erano anche necessari, ma rallentavano di molto l'azione. Secondo: se negli episodi seguenti gli infodump sono diminuiti, non è stata una scelta felice quella di camuffarli con delle sexposition, affidate praticamente tutte alle orecchie della prostituta Ros, personaggio originale creato appositamente per la serie (e per gli spiegoni con tette, aggiungerei io: vedi il punto più basso dei dieci episodi, l'imbarazzante scena saffica con Littlefinger dell'episodio 7). Terzo: il taglio totale delle battaglie degli ultimi capitoli, che avvengono offscreen. Questo non è un vero difetto, anche se c'è la sensazione che manchi qualcosa, ma è servito a farmi riflettere su come potranno mai affrontare le ben più difficoltose scene di battaglia dei prossimi libri.

Trattandosi di un prodotto HBO, mi sento in dovere di aggiungere che violenza e sesso abbondano: abbiamo teste mozzate, lingue strappate, coltelli infilati negli occhi; e abbiamo anche degli abbondanti full frontal di svariate prostitute, un paio di nudi maschili, e degli abbondanti primi piani del sedere di Jason Momoa/Khal Drogo nell'episodio 2. Tutto reso con discreta classe, se consideriamo che tette e sangue sono praticamente la regola per la HBO.

Insomma, una prima stagione solidissima. Mai in tv il fantasy è stato più serio, lontano anni luce dal fantatrash a cui svariate serie ci avevano abituato. Buone anche le musiche e buona la regia. Strepitose le location: abbiamo la Scozia, l'Irlanda, e infine Malta, che ci regala una King's Landing molto più mediterranea di quanto mi sarei aspettato. E dulcis in fundo, menzione speciale per la fotonica sigla a ingranaggi (vedere per credere!).

Intanto è già partito il casting per la seconda stagione, e abbiamo già una Margaery e una Brienne. A rivederci alla prossima primavera.

giovedì 14 luglio 2011

Nuovi link/Nuovo layout

Intervento velocissimo per informare che, per chi non se ne fosse accorto, zShare aveva cancellato i file dei racconti che avevo archiviato. Li ho rinnovati tutti, e ora sono ospitati da 4Share.

Ho cambiato layout. Non so se ne sono pienamente soddisfatto: è probabile che nei prossimi giorni lo cambi nuovamente.

Non sono riuscito a preparare la recensione di Game of Thrones per il 12, giorno in cui è uscito A Dance with Dragons. Niente paura, tra un paio di giorni al massimo sarà qui. Aspettatevi anche un nuovo racconto in un prossimo futuro.

giovedì 7 luglio 2011

Varie ed eventuali

Sì lo so, sono terribilmente discontinuo con i post. Maledetta università.
Faccio questo piccolo post solo per dare una parvenza di attività al blog e per far sapere a quei due gatti che (forse) mi leggono che ci sono delle novità in arrivo.

Innanzitutto il 19 giugno è finita la prima stagione di Game of Thrones, l'eccellente adattamento televisivo di A Song of Ice and Fire di George Doppia R Martin. Una recensione è in arrivo e, tempo permettendo, la farò coincidere con la data d'uscita di A Dance with Dragons.

Per continuare, ho abbandonato il progetto di un romanzo che da anni avevo in cantiere. Mi sono reso conto che il soggetto era troppo pretenzioso e che non ero ancora pronto per un'avventura del genere. In compenso mi sono buttato a capofitto in un altro progetto, forse ancora più ambizioso, trattandosi di una serie di cinque romanzi autoconclusivi, ma che mi sta dando più soddisfazioni. Se la pigrizia non mi sconfiggerà potrei decidere di postare qualche estratto.

Per finire, un piccolo intervento per il mio ego: sono tra i tredici finalisti del concorso Nero Angeli, indetto da Nero Cafè. Ora che l'ho detto sicuramente mi porterò sfiga da solo, ma pazienza. Volevo renderne partecipe qualcuno.
Il mio racconto si intitola Makat b'chorot, che è un'espressione ebraica (no, non vi dirò che significa, cercatelo da soli), ed è ambientato nell'egitto d'epoca biblica.
Sono molto contento di essere stato selezionato anche solo per aver avuto la conferma che dai, così schifo poi non faccio.

That's all, folks. A presto (spero)!

lunedì 30 maggio 2011

"Gardens of the Moon" [recensione]

Gardens of the Moon (I giardini della Luna) è il primo libro della saga The Malazan Book of the Fallen di Steven Erikson, titolo tradotto assolutamente a caso nell'edizione italiana in La caduta di Malazan: evidentementemente a qualcuno è sfuggito il fatto che Malazan è un aggettivo, non un nome, e che almeno fin qui non c'è in vista nessuna caduta (o quasi).

Questo Gardens of the Moon mi ha lasciato stranito per circa duecento pagine abbondanti, pagine in cui veniamo letteralmente sommersi di nomi, di eventi, di informazioni solo accennate nei dialoghi dei personaggi senza che l'autore ci dia la minima informazione su cosa stia succedendo. Cosa accade quando un mago accede al suo Warren (canale in italiano, anche se sarebbe più corretto qualcosa come labirinto)? Chi è in realtà questa imperatrice Laseen sempre sulla bocca di tutti? Lo possiamo solo immaginare, e il quadro generale che ne esce è quello di un mondo in cui la magia è dietro l'angolo, un mondo che ha alle spalle una storia di guerre continue e che ora è pressato dall'avanzata di questo temibile Impero Malazan.

Venire catapultati nella storia in medias res senza uno straccio di introduzione è una mossa azzardata, che potrebbe far chiudere il libro a metà a più di un lettore. Tanto più che nemmeno la trama è chiara: solo alla fine del volume, quando le storie di tutti i personaggi convergono negli eventi ambientati nella città di Darujhistan, iniziamo a vedere un filo conduttore che accomuna i destini di un cast di presenze enorme. Il difetto principale di un'opera del genere è forse questo: essere troppo estremista nel rifiutarsi di concedere il minimo infodump, col rischio di alienare i lettori meno vogliosi.

Ma se da un lato è un limite, questa caratteristica rappresenta paradossalmente anche un lato affascinante di Gardens of the Moon: il ricevere informazioni col contagocce fa intuire che sotto alla superficie il mondo di Erikson è enorme, come è smisurata la storia che gli sta alle spalle. Abbiamo esseri vecchi di centinaia di migliaia di anni, città e rovine la memoria del cui passato si è persa negli eoni. Giova in questo il passato da geografo e archeologo dell'autore, perfettamente disinvolto nel darci l'idea dello scorrere di un tempo smisurato e nel delineare razze e popoli credibilissimi seppur inventati di sana pianta senza il minimo riferimento al nostro, di mondo.

Non aspettatevi troppe emozioni. I personaggi sono talmente tanti che ho trovato impossibile provare empatia per loro: si alternano sulle pagine a una velocità impressionante, quasi che Erikson non voglia intenzionalmente farci affezionare a loro. E non è nemmeno la loro caratterizzazione il punto forte del libro, bensì una necessità di raccontare ogni singolo evento come in un libro di storia, fornendoci così un arazzo impressionante che fa intuire l'enorme portata della trama che ci aspetta nei nove libri successivi.

Gardens of the Moon è fantasy puro. Ci sono maghi, alchimisti, razze fantastiche e magia "urlata". Sto provando un leggero fastidio ultimamente per fantasy di questo tipo, ma se ce ne fossero di più come questo, fatti con la stessa cura e la stessa passione, non mi sarebbe difficile cambiare idea.

Il sito di Stephen Erikson: www.stevenerikson.com

Piccola nota: il mondo di The Malazan Book of the Fallen è stato creato da Erikson assieme a Ian Cameron Esslemont (a cui Gardens of the Moon è dedicato), che sta scrivendo un'ulteriore saga ambientata nello stesso mondo sotto il nome di Novels of the Malazan Empire.

lunedì 16 maggio 2011

"Le apparizioni della monaca affranta" [racconto]

















Questo è uno dei primi racconti che ho scritto. Mi rendo conto rileggendolo che è un polpettone abbastanza pretenzioso, ma ci sono affezionato. L'ho inviato al concorso Nella Tela! 2010, con risultati sconosciuti. Forse è meglio per il mio orgoglio continuare a ignorare la posizione in classifica.

Probabilmente noterete certi nomi e riferimenti che vi faranno spuntare un punto di domanda nel cervello. Non voglio spiegare nulla, dirò solo che il racconto è ambientato in un mondo di mia creazione su cui rimugino ormai da anni.

Buona lettura!

DOWNLOAD PDF: Le apparizioni della monaca affranta

sabato 7 maggio 2011

"White as snow"


White as Snow, inedito in Italia, è un romanzo di Tanith Lee, autrice britannica estremamente prolifica che purtroppo sembra passare inosservata. E' una delle sole sue due opere che abbia letto, ma è bastata a farmi mettere in programma di lettura praticamente tutta la sua bibliografia reperibile, che spazia da libri per bambini al fantasy, dall'horror alla fantascienza.
Il romanzo è parte della Fairytale Series, una collana edita da Terri Windling che raccoglie opere basate sulle fiabe più svariate. Tanith Lee non è nuova al genere fiabesco: nei primi anni '80 ha pubblicato Red as Blood, una raccolta di racconti anch'essi basati su fiabe più o meno note, tutti di ottima qualità, capaci di reinventare con soluzioni intriganti le storie che già conosciamo, e di scavare nei loro significati latenti portandoli alla luce con un'abilità sottile.
Tra le fiabe rivisitate in Red as Blood c'era anche quella di Biancaneve, ri-narrata in modo sovversivo nel racconto che dà il titolo alla raccolta: qui la dolce principessina che i più conoscono dal film della Disney era una inquietante creatura vampirica che la cristianissima regina decideva di eliminare per il bene del regno.

La storia di Biancaneve è ripresa in White as Snow in un modo del tutto diverso. La Lee punta qui sull'aspetto mitopoietico della vicenda, e arriva a portare tale aspetto alle estreme conseguenze intrecciandovi il mito di Demetra e Persefone con una coerenza ammirabile.
La trama è semplice: Arpazia è la matrigna della fiaba (che qui non è per niente una matrigna, ma la madre biologica dell'altra protagonista), una ragazza che viene stuprata quando un condottiero di nome Draco conquista il castello di suo padre. La prende in moglie, diventa re, e lei a sua volta diventa regina. Lo shock dello stupro e del vedersi strappata dal vecchio mondo che conosceva porta Arpazia a rigettare il frutto della violenza subita, la principessa Candacis che tutti chiamano Coira, e a sviluppare un'ossessione per uno specchio (che sia magico o meno è lasciato decidere a noi). Arpazia si rinchiude sempre di più in se stessa e nelle sue stanze, viene dimenticata da tutti e scivola sull'orlo della pazzia fino all'inevitabile tragico finale.

White as Snow è un romanzo in cui non succede quasi nulla. Se ne guardino bene gli amanti del fantasy machista alla Martin o alla Erikson. E' un romanzo in cui si sente pesantemente la mano narrante di una donna, ma attenzione, è una mano spietata, oscura. Tutto è giocato sulle dinamiche di attrazione/repulsione tra le due protagoniste che, paradossalmente, sono quasi all'oscuro delle reciproche esistenze.
La componente mitopoetica e simbolica è fortemente espressa dal personaggio di Arpazia, che arriva a incarnare una figura materna terribile, irrazionale, una dea madre che divora i propri piccoli per poter sopravvivere. Coira, d'altra parte, è la duplice Cora/Persefone della mitologia, vergine sulla terra e regina della morte nell'aldilà, ruolo che nel libro viene espresso con una discesa all'inferno non solo psicologica, ma anche fisica. Arpazia e Coira sono dei personaggi talmente simbolici che nel romanzo risultano addirittura spersonalizzate dalla quantità di nomi con cui vengono chiamate, e Tanith Lee si guarda bene dal farci coinvolgere emotivamente da loro: non sono che due burattini nelle mani di una storia più grande di loro, un ripetersi ciclico che può avere un solo esito.
Delle due è Arpazia a spiccare: il ritratto di una donna alienata e ossessiva è magistrale, ed è chiaro che è lei di cui la Lee importa di più raccontare. Ma è anche quella verso cui l'autrice è meno indulgente: non ci sarà alcuna redenzione per Arpazia, nessuna pietà. Coira è una figura più vaga, passiva, meno coinvolgente di Arpazia. Ma è a lei che, contro ogni aspettativa, viene affidato un finale speranzoso, che fa chiudere il libro con un sospiro di sollievo dopo pagine e pagine in cui non si respira altro che disperazione.

Uno dei punti forti della Lee, a quanto ho sentito, è la sua prosa. E a giudicare da quanto ho letto è proprio così. Un narrare etereo, fumoso, ricco di aggettivi e di suggestioni. Sembra quasi che non ci sia affatto una narrazione, ma piuttosto una sequela di immagini della consistenza di un sogno (o di un incubo).
Un plauso lo merita anche l'ambientazione, un medioevo immaginario in un mondo altrettanto immaginario di cui non viene svelato assolutamente nulla, contribuendo in questo modo al tono rarefatto della prosa e della vicenda. Belle anche le suggestioni del mondo pagano, di cui la Lee coglie perfettamente lo spirito.

Degna di nota pure l'introduzione di Terri Windling, un piccolo saggio esaustivo sulla fiaba di Biancaneve e sui significati nascosti che col tempo si sono persi.

Una delle migliori letture degli ultimi tempi.

mercoledì 13 aprile 2011

"The Wonderful Wizard of Oz" + "Wicked: The Life and Times of the Wicked Witch of the West"



L'unico motivo per cui ho letto Il Mago di Oz (The Wonderful Wizard of Oz) è stato l'interesse per un libro correlato, ossia Wicked: The Life and Times of the Wicked Witch of the West (uscito in Italia col titolo Strega), di cui parlerò nella seconda parte di questa recensione doppia.
Avevo sempre nutrito dei dubbi sulla fiaba moderna di Frank L. Baum, dubbi che sono stati confermati dalla lettura: Il Mago di Oz è un raccontino sciocco al punto giusto, con un messaggio facile facile (tutte le qualità a cui aspiriamo le possiamo già trovare dentro di noi), e non è difficile immaginare come mai sia entrato nell'immaginario collettivo americano già prima della realizzazione del celebre film.
La storia qui da noi non è così nota: Dorothy, una bambina del Kansas, viene spazzata via da un ciclone con tutta la sua casa, per atterrare in seguito nella terra magica di Oz. Qui, accompagnata da un trio di compagni improbabili - un leone codardo, uno spaventapasseri e un taglialegna di latta - va alla ricerca del Mago del titolo per far sì che la rispedisca a casa dagli zii.
Se per un pubblico di bambini la storia potrebbe anche essere passabile (ma c'è comunque molto, molto di meglio), leggendola con gli occhi di un adulto ho trovato sotto la patina magico-mielosa degli elementi non poco inquietanti.
Per prima cosa c'è da premettere che l'intento di Baum era quello di creare una fiaba moderna, spogliata di tutti gli elementi macabri e dark delle fiabe tradizionali. Così facendo, la violenza - sì, violenza! - all'interno della storia appare del tutto ingiustificata: se le streghe e i vari antagonisti dei racconti dei Grimm erano dei personaggi davvero terrificanti e meritevoli della fine terribile che veniva inferta loro, ne Il Mago di Oz non c'è nulla di minaccioso: cos'hanno le Streghe Cattive dell'Est e dell'Ovest di così cattivo, se non il nome? La prima viene spiaccicata dalla casa di Dorothy senza che nemmeno le venga attribuita una battuta; della seconda sappiamo che tiene in schiavitù i suoi sudditi, ma nulla di tutto ciò viene realmente mostrato. Abbiamo solo dei vaghi accenni, ma niente che si possa comparare a una matrigna cattiva che vuole mangiare il cuore di Biancaneve, o di una strega cannibale che non aspetta altro che infornare Hansel e Gretel. Vediamo quindi Dorothy commettere con candida innocenza degli omicidi, seppur involontari, e i suoi compari indulgere in una serie di violenze su animali vari che mi hanno fatto impallidire.
Oltre a ciò - ma qui si tratta forse solo di impressioni personali - l'idea che ho avuto del mondo di Oz è di una realtà posticcia, plasticosa, a tratti disturbante (l'episodio della Terra di Porcellana mi ha messo i brividi).
Sorprendentemente, ho ritrovato nel libro di Gregory Maguire la conferma di tutte le sensazioni che Il Mago di Oz mi aveva trasmesso.
Wicked: The Life and Times of the Wicked Witch of the West è, come annuncia il titolo, la storia della Strega Cattiva dell'Ovest, appositamente rivista e rielaborata alla luce degli eventi del libro di Baum e del film.
Qui la strega ha un nome: Elphaba. E' una ragazza particolare: sarcastica, beffarda, intellettuale. Ed è anche un personaggio scomodo, perché ha un carattere appassionato e arriva a denunciare apertamente le efferatezze che si nascondono sotto la superficie glassata della terra di Oz: la tirannia del Mago, che qui è un dittatore con tanto di forze armate al seguito, e la persecuzione contro gli Animali, in cui l'iniziale maiuscola indica degli esseri zoomorfi dotati di intelletto pari a quello di un umano. Purtroppo per Elphaba, gli atti che arriverà a compiere per rimanere fedele al suo spirito attivista saranno destinati a fallire, e la sua figura finirà per essere largamente incompresa.
I protagonisti della storia di Baum rimangono relegati sullo sfondo (anche se l'arrivo di Dorothy, ovviamente, mette in moto tutte le vicende che porteranno al tragico epilogo), mentre vengono largamente sviluppate quelle che erano solo macchiette, come Glinda, Boq, la Strega dell'Est qui chiamata Nessarose, e il Mago stesso. Devo dire che con i personaggi Maguire ci sa fare, perché sa renderli tutti sia simpatici che riprovevoli in diversi punti della storia, e a ognuno di loro fa commettere delle azioni che ne mineranno la purezza iniziale: Glinda, intelligente e piena di potenziale, diventa una sciocca signora dell'alta società; Boq, ugualmente brillante, sposa una moglie scontenta che verge sempre sull'orlo del suicidio; Nessarose diventa una figura politica temibile quasi quanto il Mago, e così via. Si può dire che l'intero romanzo sia una grande discesa dalla purezza iniziale verso il male e/o la stupidità che inevitabilmente contagia ognuno al contatto con la realtà della vita.
Wicked non è un romanzo perfetto: molte scelte stilistiche sono discutibili, e non sono riuscito a perdonargli diverse lungaggini, prima su tutte l'intera, corposa parte ambientata nel Vinkus. Il lato politico della vicenda, molto preponderante, non è nemmeno fatto trapelare tra le righe, bensì urlato a pieni polmoni. Wicked ha però il pregio di scardinare le certezze che un'opera tanto amata (almeno negli USA) come Il Mago di Oz ha instaurato nell'immaginario collettivo, presentando personaggi tutto sommato sciatti in una luce nuova ed estremamente moderna.

domenica 27 marzo 2011

"Il ritorno" [racconto]


Ho scritto questa sorta di retroscena mitologico per quella gara malefica che è la Macelleria numero 6, sul forum de La Tela Nera. Sono stato eliminato vergognosamente, ma pazienza, è stato divertente!
Il ritorno è un racconto d'ambientazione classico-mitica, ambientato in un tempo che non ho specificato, ma diversi secoli dopo l'età di Omero. Ho preferito mantenere i nomi greci nella loro esatta traslitterazione, e i latini non italianizzati. Mi sembrava una scelta più autentica, e poi diciamolo, così sono più fighi.




DOWNLOAD PDF: Il ritorno

venerdì 11 marzo 2011

"A Dance with Dragons": in arrivo (?)

A Dance with Dragons uscirà il 12 luglio 2011.
No, non è un'altra data fittizia che Martin spara per tener buoni i fan, ma è una data ufficiale fissata dalla Bantam. Farei i salti di gioia se non fosse che il rubicondo ciccione specifica di non aver ancora finito il libro, ma che gli manca talmente poco che la casa editrice si è sentita sicura nell'annunciare la data.
Io voglio crederci. Le mie speranze di vedere pubblicati gli ultimi due libri sfumano sempre di più, ma A Dance with Dragons lo esigo, è una questione di principio.

Già che ci sono ne approfitto per ricordare che la serie televisiva Game of Thrones debutterà il 17 aprile, e per chiedermi come mai tutto il materiale relativo alla saga venga proposto con questo titolo, piuttosto che con il più logico A Song of Ice and Fire. Mah.

lunedì 14 febbraio 2011

"Testimoni della venuta di una dea" [racconto]


Questo racconto è stato scritto per il concorso Ucronie Impure. Non sono arrivato tra i finalisti e me l'aspettavo. Il tema del concorso era qualcosa con con cui non sono familiare: l'ucronia, la storia alternativa, il ''cosa sarebbe successo se...''. Nel mio caso, ammetto di essere andato un po' fuori tema. Sono partito da uno spunto che mi era sempre vorticato in testa, ossia un'esito differente della battaglia di Azio in cui ad uscire vincitori sono Antonio e Cleopatra piuttosto che Ottaviano. Mi sono però fatto un po' prendere la mano dall'esame di storia dell'arte da cui ero reduce e sono andato abbastanza fuori tema, non trattando per niente la parte storica e concentrandomi invece sul dilemma dei protagonisti (che non sono Antonio e Cleopatra). Gli elementi ucronici ci sono, ma rimangono però sullo sfondo e non sempre intervengono nell'economia del racconto.

Vi propongo la versione originale del racconto, che ho dovuto ridurre a meno di 7000 parole per il concorso. Ringrazio questo personaggio per avermi permesso di rubare il titolo e inauguro l'allegamento delle versioni di testo dei racconti da scaricare. Al più presto provvederò a inserire anche gli altri.
Buona lettura!


DOWNLOAD PDF: Testimoni della venuta di una dea

domenica 13 febbraio 2011

"The Ill-made Mute" - The Bitterbynde: libro 1



Il primo romanzo di Cecilia Dart-Thornton (in Italia La ragazza della torre, titolo che molla subito un bello spoiler su un fatto che viene celato per buona parte del libro) è un fantasy che più classico non si può: e non lo dico come fosse un difetto, anzi. Con 'classico' non intendo nani, elfi, quest che ci portano tra tutti gli elementi geografici che possono essere contenuti in una mappa formato A4, maghi che sparano palle di fuoco e compagnia bella - insomma, la fuffa che putroppo i giochi di ruolo e gli imitatori del buon vecchio Tolkien hanno sdoganato - , ma parlo piuttosto di un ritorno al mio amato folklore. In mezzo al fantasy machista e cazzuto che pare andare di moda oggi, il mondo magico e delicato della scrittrice australiana mi è arrivato come una boccata d'aria fresca per il suo ricorrere ad elementi della tradizione popolare, in questo caso presi tutti pari pari dalle leggende irlandesi.
Abbiamo una creatura che si risveglia senza memoria dopo un misterioso incidente. Non sa nemmeno se è un maschio una femmina, è muta a causa di un incantesimo ancora più misterioso, ed è orribilmente sfigurata. Passa i primi tempi della sua nuova esistenza nella Torre di Isse, uno degli scali a cui fanno approdo le Navi del Vento che solcano i cieli di tutto il mondo conosciuto, e ascolta le storie che i servitori raccontano a proposito delle pericolose creature fatate che popolano le regioni selvagge. La creatura ben presto si stanca delle angherie a cui viene sottoposta e, una volta resasi conto che il suo corpo è quello di una ragazza, fugge dalla Torre decisa a riacquistare la memoria, la voce e un aspetto che non susciti orrore nella gente.
Inizia così una serie di avventure che la porteranno a scoprire un ricchissimo tesoro, a fare nuovamente conoscenza del mondo e a conoscere un amore probabilmente impossibile.
Nelle peripezie di Imrhien (così viene rinominata la protagonista senza nome) intervengono innumerevoli elementi della tradizione irlandese: la Caccia Selvaggia, il nuckelavee, l'each uisge, i duergar, i bovini acquatici... In molti casi, addirittura, delle storie popolari vengono prelevate intatte e messe in bocca ai personaggi. All'inizio del romanzo ho trovato questa procedura leggermente forzata, come se la Dart-Thornton le inserisse solo per il gusto di farlo; probabilmente è stato così, perché molti inserti sono del tutto gratuiti all'economia del racconto. Ma man mano che la storia avanza l'autrice sembra prendere confidenza col potenziale che l'elemento tradizionale offre, e nella seconda parte arriva ad amalgamarlo nella sua storia con molta più maestria (capacità che sarà ancora più sviluppata nel secondo capitolo della trilogia, The Lady of the Sorrows).
Il viaggio di Imrhien cattura: pur essendo un classico escamotage, le situazioni in cui si la ragazza si ritrova sono avvincenti e la capacità descrittiva dell'autrice ci offre degli scenari davvero belli. Su tutti, ho trovato estremamente affascinante il paesaggio acquatico del Mirrinor, per il quale la Dart-Thornton si sbizzarrisce nel descriverci flora, fauna e creature fatate con una ricchezza lessicale davvero notevole. E' anche questa una qualità distintiva della prosa della trilogia: una varietà di termini inusuali e spesso desueti che danno un tono colorato al racconto, quasi stessimo osservando le pennellate di un quadro impressionista.
Putroppo la traduzione italiana non rende altrettanto bene il lessico dell'originale, e in certi casi preferisce mantenere intatte diverse parole, prime fra tutte seelie e unseelie. Sono due termini obsoleti usati nei paesi anglofoni ormai quasi solamente per distinguere le due classi di creature fatate, le benevole e le maligne, e non sono quindi invenzione dell'autrice. Così come anche gramarye, carlin, bitterbynde, e altri che dovrei ricontrollare: niente impediva alla signorina Annarita Guarnieri di fare una ricerchina e scovare qualche equivalente italiano appropriato.
Tutto sommato, però, il romanzo scorre piacevole fino al finale che, vi avverto, è apertissimo: nulla verrà rivelato sul mistero di Imrhien. Dovrete aspettare fino al seguito per conoscere il passato della protagonista, e vi assicuro che ne vale la pena.
Pur con le sue piccole ingenuità da romanzo di debutto - la presenza di qualche spiegone di troppo che stona - The Ill-made Mute è un lavoro onesto. Date le pesanti connessioni con le tradizioni irlandesi forse l'autrice avrebbe dovuto prendere in mano il coraggio e ambientare il racconto direttamente nel mondo reale, piuttosto che in universo fantastico, ma tant'è: il libro rimane comunque un'opera umile e senza pretese, come pochi se ne trovano nel mucchio del reparto fantasy delle librerie.

Il sito di Cecilia Dart-Thornton: www.ceciliadartthornton.com

mercoledì 19 gennaio 2011

Hermione vs. Bella


Non fatevi fuorviare dall'immagine. Sì, è abbastanza demenziale, ma conto di mantenere un tono relativamente serio nel post. Questo non è un intervento anti-Twilight. Mi piacerebbe molto scriverne uno, ma non ho né le doti umoristiche necessarie, né le basi per farlo, visto che non ho letto ben poco della saga. Finirei per sfigurare davanti a certe denigrazioni geniali che si trovano in rete.
Mi preme ripetere una cosa: NON ho letto interamente la saga. Tutto quello che so deriva da stralci trovati in internet, spezzoni letti in libreria, e le informazioni che mi sono arrivate quasi per osmosi per colpa del vergognoso battage pubblicitario. Quello che so, comunque, è abbastanza da giustificare un post. Anzi, vi dico di più. Nel futuro potrebbe venirmi la voglia di autolesionarmi e di leggermi tutti e quattro i romanzi della Meyer: se allora mi ricrederò per esperienza diretta - cosa che ritengo improbabile - verrò qui a fare ammenda pubblicamente.

Passiamo al dunque. Vorrei comparare le figure femminili principali delle due saghe per ragazzi che hanno raggiunto il maggior successo negli ultimi anni, Twilight e Harry Potter (e questo l'ho letto eccome). Niente di più lontano, sia in quanto a contenuti, sia in quanto a stile che a valore dell'opera. E sono agli antipodi anche le rispettive eroine, Hermione e Bella.
Hermione è stata da sempre il mio personaggio preferito di Harry Potter. È una ragazza indipendente, intelligente, spocchiosa al punto giusto, che non si fa mettere i piedi in testa e che possiede una logica di ferro. Ha un senso del dovere e della giustizia ineccepibile, ma soprattutto riesce a farsi strada facendo affidamento sulle sue stesse capacità.
Con questo non voglio dire che adori per partito preso i personaggi puliti e moralmente integri. Anzi, non è affatto così: il più delle volte è l'ambiguità e la crudeltà ad affascinarmi. In questo caso però stiamo parlando di un romanzo per ragazzi. Possiamo girarci attorno quanto vogliamo, e dire che la serie di Harry Potter è maturata negli anni, ma rimane comunque una serie per ragazzi. E in una serie per ragazzi un personaggio come Hermione è un raggio di sole, un modello che non potrebbe essere altro che positivo per ogni ragazzina. Intendiamoci, non stiamo parlando di una supergirl, ma di una figura normalissima: con tutti i suoi pregi, Hermione in fin dei conti è un'adolescente che potrebbe esistere nella vita reale. Studia, si arrabbia, scherza, si innamora, cresce... Non è nemmeno bellissima stando a quanto scrive la Rowling. Ma è un personaggio a tutto tondo, ha delle ambizioni e lavora sodo per ottenere quello che vuole.

Passiamo dall'altra parte. Bella Swan è anche lei una ragazza normale. Da quello che so nei romanzi non dovrebbe essere quella gnocca imperiale che hanno piazzato nei film (correggetemi se sbaglio). Però, però: a quanto pare Bella non ha uno scopo nella vita. L'unica gratificazione che trova nell'esistere è solo quella di stare assieme ad un uomo, un uomo che per giunta continua a rifiutarla causandole un dramma perpetuo. In Bella vedo un'adolescente disturbata, priva di un minimo di confidenza in se stessa, e non ci sarebbe nulla di male se la Meyer la trattasse come tale. Ma invece no, nelle sue mani Bella diventa un'eroina: non importa quanto si comporti stupidamente o quanto si lagni, perché tanto ci sarà sempre un uomo che verrà a salvarla.
Trovo agghiacciante l'epilogo della vicenda, in cui dopo tanto penare, dopo tante umiliazioni, Bella ottiene quello che vuole e diventa un vampiro. Può sembrare una sciocchezza, ma vi leggo un sottofondo disturbante, ossia: puoi aggirare i tuoi problemi e sfuggire dalla mediocrità della vita diventando qualcosa che non sei. Bella non matura, non cambia, ma diventa qualcun altro. Trova la realizzazione nell'uniformarsi totalmente al suo uomo, nella gravidanza e nel matrimonio (a 18 anni o giù di lì, per giunta).
Tutto ciò, in un contesto rivolto a delle giovani ragazze, è inammissibile. Fa ridere, è vero, ma pensare che esistono schiere di ragazzine che trovano Bella un modello da imitare è desolante.

Come è desolante anche il modo in cui la Meyer parla della sua creazione. Ora, non vorrei parlare a sproposito, ma mi pare evidente che vi abbia riversato tutte le fantasie/problematiche che si portava dietro dalla gioventù. Spero vivamente sia così, perché altrimenti significherebbe semplicemente che la Meyer è una persona disonesta e sappia bene quanto sia diseducativo il modello che propone.
Tutt'altra storia la Rowling, che è sempre stata molto ironica e leggera nel giudicare i suoi personaggi.

Vogliamo parlare poi del ritratto distorto dell'amore che la relazione tra Bella e Edward offre? La loro è una storia continuamente segnata dal dramma. Non c'è niente di romantico, niente di tenero; sono due personaggi monolitici che si amano perché dev'essere così. Bella vede in Edward una figura da idolatrare, e subisce passivamente le crisi esistenziali di lui nei confronti di lei. Sembra non avere un minimo di dignità, un minimo di amor proprio: è emblematico il fatto che si faccia scarrozzare sulla schiena di Edward o prendere in braccio di continuo, gesti che enfatizzano quel suo (non)carattere di figurina autolesionista in balia delle sue stesse ossessioni.
E Hermione? Dai, lo sospettavamo un po' tutti che sarebbe finita con Ron, ma com'è stato delicato l'evolversi della loro storia! Due persone che crescono assieme, consapevoli dei reciproci pregi e difetti. Non mancano le difficoltà, ma in questo caso sono risolte con ironia (sia lodata Hermione che scaglia lo stormo di uccelli su Ron!) o con obiettività (Hermione non cade in una depressione acuta quando Ron se ne va, ma continua a cercare gli Horcrux perché è giusto così).

Ho letto in giro di come molti sostengano che la saga di Twilight promuova un'immagine romantica e sognante dell'amore, priva di eccessi e quindi adatta al suo pubblico. Be', sono tutte scuse. Twilight non ha nulla da insegnare. Quella tanto idolatrata innocenza che gli appioppano non è altro che astinenza. Sì, perché la fregola sessuale si respira come l'aria: Bella è ossessionata dal desiderio di avere un rapporto sessuale con Edward, il quale puntualmente frustra le sue aspettative. Non c'è niente di romantico, c'è solo il gusto del proibito, del pericoloso, e una moralità opprimente che deriva dritta dal background mormone della Meyer.
Quando finalmente Bella vede appagate le sue voglie, seppur da sposata, sembra ricevere una sorta di punizione divina: non solo resta incinta, ma partorisce in una delle sequenze più raccapriccianti che abbia mai letto, rischiando pure la vita.
Questo sì che è educativo. Altro che quei lussuriosi dei ragazzi di Harry Potter!

Insomma, un bel passo indietro rispetto a quelle eroine forti e determinate che erano Xena, Buffy e tutti loro derivati. Hermione è stata una loro evoluzione, in cui la forza fisica e il machismo erano sostituiti dall'intelligenza. Bella non ha nulla: è solo il triste ritratto di una generazione.

E ora, se qualche povera anima passasse di qui per contraddirmi, ben venga! Sto giusto aspettando di essere spronato a leggere per intero la saga per veder confermate le mie teorie.
Intanto torno a rileggere Harry Potter.

mercoledì 12 gennaio 2011

"Kushiel's Dart" - Kushiel's Legacy: libro 1


Ho letto questo libro già da un paio d'anni, ma mi sto dilettando con la versione inglese da qualche giorno. Kushiel's Dart (uscito in Italia con il titolo Il dardo e la rosa) è il romanzo di debutto di Jacqueline Carey, autrice dell'Illinois amante dei viaggi e della mitologia. Le sue passioni sono evidentissime nel mondo da lei creato, che non è nulla di nuovo in realtà, ma un eccentrico e immaginifico pastiche di culture, religioni e popoli reali assemblati in modo anacronistico: avremo così una Caerdicca Unitas e un'Aragonia (Italia e Spagna) dal sapore rinascimentale, un Khemet (Egitto) spiccatamente ellenistico, un'Alba e una Skaldia (Britannia e Germania) ancora ferme ad una società tribale, e così discorrendo. La geografia stessa è identica a quella reale: cambiano solo tempi e nomi dei luoghi. Il fulcro delle vicende è Terre d'Ange, una Francia alternativa che molti descrivono come rinascimentale, ma che a me ha dato più l'idea di uno splendido barocco seicentesco. Terre d'Ange è una nazione fondata da una schiera di angeli discesi sulla Terra centinaia di anni prima dell'inizio delle vicende. Tra questi, tre sono di fondamentale importanza nella saga: il Kushiel che le dà il nome, angelo del castigo divino; Elua, figlio del sangue di Yeshua e aborrito dall'Unico Dio; Naamah, angelo femmina legato alla sessualità e al piacere.
La cultura di Terre d'Ange si è sviluppata sotto il precetto di Elua, "love as thou wilt" ('ama a tuo piacimento'), dando così origine ad una società in cui l'amore non ha limiti né di età, né di genere, né di orientamento sessuale. E' nata inoltre un'organizzazione, la Corte dei Fiori Notturni, dedita interamente al culto di Naamah sotto forma di prostituzione sacra. All'interno di questa Corte troviamo all'inizio del romanzo la protagonista, Phèdre, la cui eloquiente voce narrante ci accompagna nelle sue avventure in giro per il mondo. Phèdre non è però solo una prostituta, ma viene allenata da un misterioso mentore per diventare una spia, in modo da sventare un complotto ai danni del trono di Terre d'Ange che si rivelerà ben più intricato di quanto sembrasse.

Kushiel's Dart è un romanzo bizzarro. Inutile dire che ciò che attrae di più l'attenzione al primo acchito è la sua forte componente erotica, che in molte scene prende toni che sfociano nella pornografia vera e propria, nonché in diverse situazioni sado-masochistiche. Quest'ultima considerazione è importante alla luce della natura di Phèdre, che si rivela ben presto essere marchiata da un dio: nel suo occhio sinistro è presente infatti il Dardo di Kushiel che dà nome al libro, segno che Phèdre è un anguissette, prescelta dell'angelo del castigo e quindi propensa per natura a trarre piacere dal dolore.
Non si deve però commettere l'errore di pensare che l'elemento erotico sia gratuito e inserito solo per conferire un tono scabroso al romanzo. Tutto è trattato non solo con la massima serietà, ma addirittura con sacralità: Phèdre è ciò che è in quanto reverente a tre divinità. Elua, sotto il cui precetto d'amore tutti sottostanno; Kushiel, di cui reca il marchio e la cui giustizia crudele deve servire per natura; e Naamah, di cui è serva come tutti i membri della Corte dei Fiori Notturni. E' in onore di quest'ultima che vende il suo corpo ai suoi patroni, stabilendo un tramite tra lei e la dea. Potrà sembrare inconcepibile ai più, ma la prostituzione sacra era una realtà molto diffusa nel vicino Oriente, specialmente in relazione a Grandi Madri come Ishtar, Astarte e anche Afrodite (ho scritto un racconto a tal proposito intitolato Testimoni della venuta di una dea per il concorso Ucronie Impure; a risultati annunciati lo pubblicherò).
E' raro che in un fantasy medio il tema religioso sia tanto significativo: spesso e volentieri le mitologie sono inserite come modo per dare sapore a mondi fantastici, ma in Kushiel's Dart la fede di Phèdre si respira, è viva, e le causa non pochi dubbi e problemi, specialmente nei libri successivi. Ho letto molte recensioni in cui si lamentava una certa blasfemia o dei toni erotici troppo accesi ma, lasciatemelo dire, sono problemi dei recensori, e non di certo del romanzo.

Passando alla storia in sé, il libro si presenta diviso nettamente in due parti: la prima, che tratta dell'infanzia e dell'addestramento a spia di Phèdre fino alla rivelazione dei piani dell'antagonista Melisande (che sarà la sua nemesi per tutta la durata della saga), e la seconda, in cui in coppia col monaco cassiliano Joscelin l'eroina si troverà alle prese con la minaccia degli Skaldi. Devo ammettere che ho trovato molto più interessante la prima, una vera girandola di sensualità, intrighi (anche fin troppo complessi), passioni, in cui si gode appieno del mondo creato dalla Carey. La seconda parte si adagia su toni un po' più convenzionali e, forse per questo, perde un po' del mordente che caratterizzava la prima.
Nonostante ciò, la trama è comunque robusta, è autoconclusiva - qualità rara in una saga - ed è tenuta in piedi da un buon cast di personaggi tra i quali spicca ovviamente Phèdre, protagonista donna per una volta pienamente consapevole delle sue capacità, dei suoi limiti, della sua intelligenza e della sua bellezza, che non scivola nel classico luogo comune della figa emancipata (passatemi il termine) e testarda. Meravigliosa Melisande, una delle migliori bitch che abbia mai letto: la sua relazione con Phèdre è interessante e verosimile, e la sfida che le lancia avrà degli strascichi significativi che proseguiranno per il resto della saga. Molto belli anche Waldemar Selig e Ysandre, ma soprattutto Anafiel Delauney, la cui storia struggente viene dipanata pian piano durante la prima parte (segnalo il bel racconto You, and You Alone - che tratta della storia d'amore tra Delauney e Rolande - uscito nell'antologia Songs of Love and Death curata da George Martin).

E' degno di nota lo stile di scrittura della Carey, sontuoso, elegante e dal tono un po' antiquato, ricco di termini come thus, mayhap, betwixt, e di eufemismi bizzarri (carinissimo 'perla di Naamah' per indicare il clitoride). Incredibile a dirsi, la valida traduzione di Elisa Villa gli fa onore.

Un libro da leggere. Non per tutti i gusti, forse, ma non per questo meno valido.


Il sito di Jacqueline Carey: http://www.jacquelinecarey.com/