giovedì 5 luglio 2012

A Dance with Dragons

Questa recensione contiene spoiler


   Questo è il primo di due post dedicati alla saga A Song of Ice and Fire. Il secondo sarà dedicato alla bellissima seconda stagione televisiva di Game of Thrones, mentre con questo mi voglio subito togliere il dente dolorante: A Dance with Dragons non mi è piaciuto.

   Prima di parlare del libro permettetemi di dire un paio di cosine in tutta franchezza.
   Primo: l'avevo già detto, e lo ribadisco, sono stanco di leggere a destra e a manca pagine e pagine di siti internet in cui fan invasati (e quelli di Martin lo sono, ma proprio tanto) dissertano su fantomatici aspetti letterari della saga, su come Martin sia un genio conoscitore della psicologia umana, su come costruisca dei supposti grandi affreschi storici, su come tocchi grandi temi che sono sempre stati presenti nella storia dell'umanità.
   Ma per favore. Non sto nemmeno ad elencare quanti scrittori hanno affrontato tematiche simili in modo realmente profondo e innovativo, usando tra l'altro un quarto delle pagine impiegate da Martin. Basta solamente andarli a cercare. A Song of Ice and Fire non è letteratura, è una serie di best-seller. Best-seller professionali, ma di certo non parliamo di letteratura. Parliamo di intrattenimento, di personaggi fighi, di una trama complessa è avvincente (almeno fino a prima di Dance), quindi godiamocela per quello che è.
   Secondo punto: Martin non è Dio, suvvia. È un buon mestierante, ma come scrittore è piuttosto indisciplinato: anche gli ottimi tre libri della saga contenevano diversi scivoloni di impostazione narrativa e qualche lungaggine, ma si perdonavano loro le mancanze grazie a una trama mozzafiato e personaggi interessanti tra i quali si instauravano dinamiche inaspettate. Questo secondo punto mi porta direttamente al problema principale di A Dance with Dragons: a livello narrativo, ci troviamo davanti a un disastro. L'intero libro, per citare una recensione di Amazon, si può riassumere più o meno come "molteplici personaggi che vagano lentamente per il mondo avvicinandosi - senza mai raggiungerlo - un posto in cui qualcosa di interessante potrebbe potenzialmente accadere".
   Mai commento fu più appropriato. In Dance il ritmo narrativo è inesistente. Non c'è nemmeno la parvenza di una pianificazione strutturale. Martin sembra salito sul carrozzone che portò Robert Jordan a scrivere una sequela sterminata di libri in cui sostanzialmente non accade niente di niente. Abbiamo personaggi che parlano di quello stanno per fare, che ripercorrono fino allo sfinimento eventi già accaduti, descrizioni su descrizioni di ciò che i personaggi mangiano (!!!), ma, soprattutto, descrizioni di viaggi. Sì, come già detto, la maggior parte dei personaggi passa il tempo viaggiando senza però arrivare da nessuna parte.
   Abbiamo almeno tre personaggi che tentano di arrivare da Daenerys: Tyrion, Quentyn e Victarion. Il primo parte bene, incontrando due nuove interessanti conoscenze (Jon Connington e il redivivo Aegon Targaryen), che però spariscono ben presto relegando off- screen l'unica parte della trama in cui succede davvero qualcosa; Tyrion rimane in seguito invischiato in una serie di avventure (?) delle quali viene da chiedersi se ci fosse bisogno. Il povero Quentyn è forse il POV più inutile dell'intera serie: è l'unico che davvero raggiunge Daenerys, solo per fare una fine ingloriosa dopo una serie di lunghi capitoli che anche se eliminati in toto non avrebbero tolto nulla alla narrazione. Ugualmente inutili e inconcludenti e capitoli di Victarion, inseriti quasi per ricordarci della sua introduzione nel libro precedente.
   Daenerys stessa non fa che passare il tempo a fare il bagno, a parlare di come potrebbe agire con i suoi consiglieri, a rimuginare e autocommiserarsi per la sorte di una città di cui nella sua epifania finale realizzerà non interessarle nulla. A giudicare dai nodi irrisolti che costellano le storylines del continente di Essos, mi chiedo quanto ancora ci vorrà perché l'azione si risposti a Westeros.
   Parlando di Westeros, ci ritroviamo davanti a un'accozzaglia di POV il cui assembramento caotico sembra rispecchiare la confusione che regna nel nord e a King's Landing. E non lo dico come un complimento. I bei capitoli di Cersei  e di Jaime sembrano inseriti a forza solo per risolvere i cliffhanger di A Feast for Crows, riuscendo solamente a crearne altri, come quello ambientato a Dorne pare servire solo a ricordarci dell'esistenza dei Martell. Davos compare fin troppo solamente per raggiungere lord Manderly, scoprire che dovrà recuperare Rickon Stark, e scomparire dalla trama senza lasciare traccia.
   L'unico scopo di Asha Greyjoy è quello di mostrare la marcia di Stannis verso Winterfell, che sembra fare da preludio a una battaglia con i Bolton che mai si materializzerà.
   Nemmeno per il palloso Jon Snow le cose vanno meglio: pagine e pagine passate a ispezionare le riserve di cibo di Castle Black, a pensare a come risolvere la situazione con i wildings, a ricordare la sorte di Ygritte (ogni volta che leggevo la frase "You know nothing, Jon Snow", avrei voluto dare il lettore ebook in pasto al cane), a parlare, parlare, parlare. L'ultimo capitolo di Jon ci riserva quello che dovrebbe essere l'unico vero colpo di scena del libro, anche se, considerata l'importanza del personaggio, è praticamente certo che sopravviverà alle coltellate ricevute a causa del malcontento serpeggiante nella Night's Watch, o che perlomeno tornerà incarnato nel suo lupo.
   Theon è forse l'unico che gode di un arco narrativo completo, riacquistando un'identità e una parvenza di dignità dopo le terribili torture subite. I suoi capitolo sono soddisfacenti, per quanto non l'abbia mai amato, ma mi fanno arrivare a un'altra considerazione poco piacevole riguardo all'abominevole mostruosità di Ramsey Bolton e delle vari episodi gore presenti nel libro: le continue torture, mutilazioni, gli smembramenti, gli onnipresenti stupri. Se nei primi libri questi elementi erano funzionali al realismo dell'opera, sembra che Martin abbia iniziato a provare gusto nell'inserire elementi raccapriccianti di cui non sempre si sente il bisogno, che addirittura se ne autocompiaccia. Ci serviva davvero sapere che Ramsey scuoia vive le ragazze per divertimento? O vedere Theon leccare la passera di Jeyne Poole su ordine di Ramsey? Me lo vedo Martin, grasso e rubicondo sulla sua scrivania, mentre scriveva la scena: "Come posso fare per rendere più interessante tutto ciò? ... Ma certo, leccata di figa da parte di un tizio sdentato e menomato! GENIO!"
   Troppo, troppo cheap.

   A Dance with Dragons è un immenso pasticcio, un passo falso derivato probabilmente dall'aver creato un'eccessiva diaspora dei personaggi nel precedente A Feast for Crows. Quest'ultimo non mi era dispiaciuto, se non altro per una maggior coesione di location e di relazioni tra i personaggi, che non partecipavano semplicemente in delle storie microscopiche slegate tra loro come accade in questo quinto volume. Se poi consideriamo che i due libri sono in realtà da considerarsi un unico capitolo e che il tempo impiegato per scrivere entrambi è stato di quasi undici anni (undici!), la situazione è davvero imperdonabile.

   Non so cosa sia successo nella testa di Martin dopo A Storm of Swords, ma sta di fatto che ha affermato di non aver ancora chiaro come arrivare alla fine della saga. Beh, si vede, e il fatto che abbia dovuto buttare via gran parte del materiale scritto per Dance prima di decidere di separarlo in due volumi dimostra quanto scadente sia stata l'impostazione del lavoro e come Martin sia diventato prolisso. Lui stesso ha confessato senza vergogna di aver dovuto troncare la narrazione prima del finale che aveva in mente perché il libro era diventato troppo lungo: un'affermazione del genere fatta da uno scrittore professionale è inascoltabile.
   Resta solo da sperare che la paura di essere superato dalla serie tv gli faccia organizzare meglio le idee senza ulteriori scivoloni e impantanamenti. Che ce la possa fare?

Nessun commento:

Posta un commento