venerdì 26 ottobre 2012

Harry Potter and the Order of the Phoenix

   Harry Potter, dopo essere sopravvissuto alla cattura da parte di Voldemort nel libro precedente, urla ai quattro venti che il mago più pericoloso dell'ultimo secolo è tornato, ma gli viene dato del bugiardo sia dal Ministero della Magia che da pressoché l'intera scuola di Hogwarts. Mentre l'Ordine della Fenice, società segreta che opera contro Voldemort, si dà da fare per proteggere Harry, questi cerca di scoprire quale sia la famigerata arma che la sua nemesi sta cercando di ottenere.
   Order of the Phoenix fa un altro salto sia nella crescita dei personaggi che nella lunghezza del volume (il più lungo della serie). La Rowling continua con coerenza l'evoluzione della scrittura e delle situazioni parallelamente con l'età dei lettori e dei protagonisti, e nel presente volume troviamo un Harry in preda alla classica rabbia adolescenziale, al desiderio di essere trattato da adulto e alla frustrazione derivante dal non essere ancora tale. Se il ritratto di Harry è perfettamente realistico e inquadrato nel processo di crescita del personaggio, è vero anche che in Order of the Phoenix il personaggio principale riesce spesso a risultare insopportabile, cosa che non è affatto un buon segno. Più volte nel corso del libro Harry sbraita contro i suoi amici e i professori, tratta in modo orribile la ragazza che gli piace senza nemmeno rendersene conto, e fa delle scelte decisamente stupide (elemento non nuovo nella serie, ma che qui rimane in gran parte ingiustificato).
   Paradossalmente, mentre è il protagonista a risultare indigesto, sono i personaggi secondari - persino quelli morti - ad acquistare un nuovo fascino: l'incursione nei pensieri giovanili di Severus Snape non fa che confermare che tutto ciò che l'uomo ha raccontato a Harry sull'adolescenza di suo padre e di Sirius Black era vero, ossia che fossero dei buzzurri arroganti con dei comportamenti da bulli. Viene approfondito il passato di Neville Longbottom, fin'ora rimasto largamente in secondo piano, e ora arricchito da una vena tragica piuttosto inaspettata, e lo stesso vale per la nuova entrata nel cast, la svagata Luna Lovegood.
   Continua il ritratto impietoso di un Ministero della Magia totalmente incompetente, in questo caso addirittura negazionista e oscurantista, qualità incarnate alla perfezione dal personaggio di Dolores Umbridge, uno dei più felici mai usciti dalla penna della Rowling: una donna fatta per essere odiata, leziosa, amante dei gattini e delle porcellane kitch, cattiva, crudele, vendicativa e con dei modi di mantenere l'ordine assolutamente fascisti.
   Il libro in sé è molto cupo, il primo in cui venga affrontato a fondo il tema della morte. Se in Goblet of Fire la dipartita di Cedric era stata un assaggio di ciò che ci aspettava, la morte di Sirius Black è effettivamente molto più dura da digerire e spinge Harry a chiedersi cosa ci sia "dall'altra parte", a vivere la perdita di una persona cara dopo quella dei suoi genitori e a convivere con il senso di colpa.
   Il vero problema di Order of the Phoenix è l'organizzazione della trama. Fermo restando che il libro è decisamente troppo lungo e denso di situazioni che non aggiungono nulla all'economia della narrazione - la Rowling stessa ha ammesso che se potesse tornare indietro effettuerebbe un editing più pesante -, la storia stessa è molto meno focalizzata su un filone portante rispetto ai precedenti volumi. La questione dell'arma ambita di Voldemort non viene trattata a sufficienza per risultare accattivante, e quando alla fine questa viene svelata scopriamo trattarsi di una profezia dal contenuto francamente banale: il fatto che a sconfiggere Voldemort potrà essere solo Harry (o viceversa) potrà risultare di certo uno shock per Harry stesso, ma diciamoci la verità, quale lettore già non immaginava che sarebbe stato così? Imperdonabile poi lo scivolone che la Rowling commette con il two-way mirror, oggetto che Sirius dà ad Harry per comunicare in modo sicuro ma che il ragazzo, convenientemente per la trama, guarda caso dimentica fino a quando è troppo tardi: possibile che, in un libro in cui uno dei temi portanti è il desiderio di Harry di poter parlare con Sirius, un oggetto del genere venga dimenticato senza che nessuno dei due ne faccia menzione? E che quando Harry lo ritrova dopo la morte del padrino non si rimproveri minimamente di aver corso dei rischi assolutamente inutili solo per non averlo adoperato prima? Se già la Rowling in Goblet of Fire si era dimostrata propensa ai plot-hole, in questo caso sono troppo evidenti per poter sorvolare, e il racconto ne risente.

sabato 13 ottobre 2012

Harry Potter and the Goblet of Fire

   Al quarto anno a Hogwarts, Harry Potter viene selezionato dal Calice di Fuoco per partecipare come quarto campione al Torneo Tremaghi, nonostante i campioni siano tradizionalmente tre e nonostante chi abbia proposto il nome di Harry sia un mistero: serpeggia il sospetto che sia tutto un piano per arrivare al ragazzo.
    Il quarto libro della serie crea una frattura definitiva con i tre precedenti, già a partire dalla mole (quasi il triplo dei primi due e il doppio del terzo). Goblet of Fire segna l'entrata definitiva dei protagonisti nell'adolescenza: si svegliano gli ormoni - carina la parte teen comedy relativa al Ballo di Yule - e i ragazzini dei libri precedenti, spensierati e un po' sciocchi, vengono qui messi a contatto con le loro prime incertezze e difficoltà. Ron fa i conti con il fatto di vivere costantemente nell'ombra del suo migliore amico, Hermione intraprende una battaglia per i diritti degli elfi domestici (battaglia ridicola ma perfettamente coerente con il personaggio), e Harry, che già nel libro precedente aveva conosciuto il dolore della perdita a causa dei Dissennatori, viene qui messo a confronto per la prima volta con tutta la sofferenza e il male causati da Voldemort. Si apre una finestra sul passato e capiamo che gli eventi degli anni trascorsi sono destinati a riversarsi e a ripetersi anche nel presente dei protagonisti.
   I sottofondi di odio razziale già accennati in Chamber of Secrets vengono qui rimpolpati a dovere e saranno destinati a diventare uno dei temi portanti della saga: Voldemort non è altro che un novello Hitler ossessionato dall'idea di sconfiggere la morte (idea che sarà sviluppata profondamente nel resto della saga). Ed è proprio il ritorno di Voldemort nell'adrenalinico finale a dare la svolta definitiva agli eventi: l'omicidio di Cedric, a suo modo scioccante, è una dimostrazione che nessuno è più al sicuro e che, come sottolinea Dumbledore, ognuno si troverà nelle condizioni di dover scegliere tra ciò che è facile e ciò che è giusto.
   Importanti nell'economia del libro anche le tematiche del giornalismo spazzatura e della politica oscurantista, attuali come non mai ed efficacissime nell'estrema semplicità con cui vengono trattate, per nulla banali considerato che si tratta di un libro per ragazzi.
    Viene introdotta una nuova carrellata di personaggi colorati e memorabili, primi tra tutti Alastor Moody (protagonista del colpo di scena più significativo) e l'odiosa, estremamente realistica Rita Skeeter, un'arpia pronta a vendere sua madre per uno scoop scandalistico. Decisamente tragico il personaggio di Bartemius Crouch, figura che difficilmente suscita simpatia ma la cui storia - tra il suo stesso destino e quelli del figlio e della moglie - riesce a far accapponare la pelle.
   La trama non è perfettamente solida, e scricchiola in diversi punti: oltre ai vari piccoli deus ex machina (primo tra tutti il salvataggio in extremis di Harry da parte di Dobby alla vigilia della seconda prova del torneo), è chiaro che il Torneo Tremaghi non è altro che una grande scusa per portare avanti la storia, perché se lo scopo del falso Alastor Moody infiltrato a Hogwarts era quello di consegnare Harry a Voldemort, non c'era certo bisogno del torneo per poterlo catturare alla prima occasione disponibile. Inoltre, è difficile credere che un impostore come Barty Crouch Jr abbia potuto impersonare Moody, amico personale di Dumbledore, per nove mesi senza destare alcun sospetto. Dopotutto, la Rowling stessa ha ammesso di aver avuto dei problemi nella stesura del libro, arrivando a dover modificare parti della trama dopo essersi accorta di un plot-hole significativo.
   Per quanto mi riguarda, la sospensione dell'incredulità raggiunge un livello tale da far perdonare i difetti, tanto che ritengo Goblet of Fire superiore ai suoi predecessori a livello qualitativo.