giovedì 24 aprile 2014

Carrie (Stephen King)

   Carrie è il primo romanzo di Stephen King. Il libro che ha iniziato tutto. Il libro che ha dato i natali letterari all'uomo che ha segnato la mia vita.
   Sì, perché io Stephen King ce l'ho nel sangue, nelle ossa, nella testa. Anche se negli ultimi anni mi ci sono un po' allontanato, come un figlio che si allontana giustamente dai genitori quando diventa grande, alla fine il mio cuore è sempre con lui. Ancora ricordo quel giorno (prima media? Seconda?) in cui feci la sua conoscenza alla mostra del libro, in cui acquistai la mia copia ormai scomparsa di Incubi e deliri. La mia professoressa (Giuliana Garugli, se mi leggi, sappi che ti ricordo ancora oggi), accanita kinghiana, mi disse di attendere, perché non era una lettura adatta ad un undicenne. Aveva ragione da vendere. Eppure non l'ho ascoltata, e non me ne sono pentito per un secondo, nonostante la mia salute mentale abbia qualcosa da ridire a proposito.
   Ora, dopo questa appassionata dichiarazione d'amore che potrebbe fruttarmi un settimana in uno dei migliori sanatori del paese, torniamo a noi. Salvato dal cestino della carta straccia da quella santa donna di Tabitha King, Carrie è un libretto snello, veloce da leggere, tal taglio estremamente realistico. Per aumentare la sensazione di "vero", King ha inserito una quantità forse esagerata di fittizi ritagli di giornale, articoli, stralci di libro e finte testimonianze, tutti riguardanti il caso mediatico suscitato dalle azioni della protagonista telecinetica.
   Opera solida, deliziosamente acerba, Carrie è una testimonianza monumentale di quale inferno sia l'adolescenza. E King non ne ha per nessuno: i bulli sono dei personaggi totalmente privi di cuore e di scrupoli, degli sbandati totali privi del benché minimo briciolo di umanità; gli adulti sono assenti o, nel caso di miss Desjardin, alla fine falliscono nel tentativo di compiere il loro dovere. Carrie stessa è un personaggio per il quale è impossibile provare simpatia (King stesso ha ammesso di odiarla): è una ragazza passiva, debole; dovremmo parteggiare per lei, ma King la presenta in un modo oscuramente ambiguo, al punto da farci credere che noi stessi, avendo avuto a che fare con una Carrie nella nostra vita, non l'avremmo di certo trattata con rispetto. Il massacro finale, che in altre mani avrebbe dovuto risultare catartico, non viene presentato come tale: non è altro che il passo definitivo verso l'inevitabile autodistruzione della protagonista.
   Adattato nella celeberrima pellicola di Brian De Palma, Carrie ha lanciato Stephen King nell'olimpo dell'horror (e non solo). Considerato che contiene i germi di tutta la produzione successiva di King (comprese le sue ossessioni per la religione e il male che alberga nella provincia), direi che si è meritato tutto il suo successo.

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