giovedì 24 aprile 2014

The Silmarillion (J. R. R. Tolkien)

   The Silmarillion, pubblicato nel 1977, è la seconda (che io sappia) pubblicazione postuma delle opere di Tolkien. Curato dal figlio Christopher - che ultimamente sembra voler spremere fino al midollo persino le liste della spesa scritte dal padre, vista la quantità di materiale inedito che sta pubblicando di recente - il Silmarillion è sostanzialmente un'enorme, denso, epico volume che narra le vicende di Arda (il mondo creato da Tolkien) dalla sua creazione fino agli eventi narrati in Lord of the Rings.
   Il buon vecchio Tolkien, che aveva trascorso la sua intera vita a inventare, creare, rimaneggiare, limare, eliminare qualunque cosa riguardasse il suo universo fantastico, aveva lasciato un'enorme quantità di appunti al momento della sua morte. Le sue note erano in costante evoluzione, e non è praticamente mai giunto a produrre una versione definitiva della storia di Arda. Nella compilazione del Silmarillion, Christopher decise di usare le versioni più recenti degli scritti di suo padre, in modo da evitare il più possibile di incorrere in incongruenze con lo Hobbit e con Lord of the Rings, che rimangono gli unici due libri sul mondo di Arda pubblicati durante la vita di Tolkien. L'enorme mole di materiale originale risalente ai primi anni in cui Tolkien scriveva su Arda venne poi pubblicata, sempre da Christopher, nei primi tomi della History of Middle Earth, ossia i due volumi del Book of Lost Tales.
   Mi risulta difficile parlare con obiettività del Silmarillion: si tratta di un'opera complessa, di difficile definizione. Non è un romanzo, non è una raccolta. Per fare un paragone azzardato, si potrebbe trattare di una sorta di Bibbia di Arda, un'insieme di racconti mitopoietici legati da spazio, personaggi e tematiche. Pur essendo un libro dalle dimensioni relativamente contenute, il Silmarillion contiene un numero sterminato di nomi, personaggi, storie che si incrociano nello spazio e nel tempo. E' una vera e propria opera mitologica che, nelle intenzioni iniziali dell'autore, avrebbe dovuto fingere da narrazione fittizia per le origini della storia e della cultura inglesi. Lo stile è quello distaccato proprio delle narrazioni epiche del Beowulf e del Kalevala: narrazione che raramente si avvicina ai personaggi, psicologie pressoché inesistenti ma esplicitate dalle parole stesse dell'autore, discorsi diretti ridotti all'osso. Ciò che in un normale romanzo, quindi, risulterebbe essere un difetto mortale, qui assume i connotati dell'epicità senza tempo delle antiche saghe nordiche, dei cicli di Re Artù e del Mabinogion.
   Ciò che risulta sorprendente, a primo acchito, è la densità dei fatti narrati. Con estrema nonchalance, Tolkien dipana un fittissimo arazzo di eventi che coprono un arco temporale di più di 5000 anni. Ogni singolo capitolo del Silmarillion avrebbe meritato senza se e senza ma un romanzo a se stante della stessa lunghezza di Lord of the Rings. E' quindi un po' con l'amaro in bocca che, almeno per quanto mi riguarda, rimpiango che Tolkien non sia mai riuscito a mettere ordine tra il gargantuesco numero di idee che continuava a partorire. Tuttavia c'è da dire che Tolkien, a quanto pare, fosse diventato sempre meno interessato alle storie in sé, e che sul finire della sua vita avesse investito tutta la sua attenzione sull'aspetto filosofico della sua creatura: il concetto di "dono" di Eru (la morte degli uomini), il concetto di immortalità degli elfi e via dicendo.
   Ancor più di Lord of the Rings, il Silmarillion racchiude in sé la summa della visione del mondo dell'autore: nella storia del mondo il male è un concetto impossibile da estirpare completamente. Il creato, Arda, sono intrinsecamente "buoni", ma suscettibili alla corruzione. L'intera storia di Arda è una continua "caduta" da uno stato di bellezza e armonia iniziale, a uno in cui gran parte di questa bellezza viene perduta irrimediabilmente. Centrale anche in quest'opera è la presenza di un artefatto magico - in questo caso più artefatti: i meravigliosi Silmarilli, attorno ai quali ruota il destino delle vicende narrate, che mettono anche qui in primo piano il tema dell'avidità che era preponderante in Lord of the Rings. Se però, in quest'ultimo, l'unico anello era intrinsecamente malvagio, i Silmarilli sono quanto di più puro potesse esistere: il loro posto, infatti, alla fine non sarà nel mondo, ma verranno perduti. Non bisogna pensare, nonostante ciò, che la visione di Tolkien fosse pessimistica: la corruzione è sempre  combattuta attivamente da coloro che trovano che si sia sempre qualcosa di valido da salvare.
   Per quanto mi riguarda, si tratta di un capolavoro contenente una miriade di altri capolavori purtroppo non venuti in essere.

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